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Lezioni dal Pacifico

Visto che ormai non sono più un ragazzino mia moglie Nancy per aiutarmi a superare la crisi dei 40 (e più) mi ha suggerito di approfittare di questo nostro viaggio a Lima per fare del Surf. Come alcuni sanno (molti pensano che sia in alta quota) Lima è sulla costa. Pochi invece sanno che il Perù è la patria di molti campioni di questo sport affascinante. Qui c’è l’Oceano Pacifico che pacifico non è per nulla, soprattutto durante “semana santa”. Il vantaggio sono le onde, belle alte giuste giuste per il surf.

Sarà deformazione professionale, sarà che c’è sempre una lezione, sarà che l’oceano è saggio ma anche questa volta ho imparato qualcosa.

Ricorderò questa esperienza per sempre.

Arrivato in spiaggia vedo le onde, belle grosse. Non è il giorno ideale per fare la prima lezione però ormai sono qui. Dopo aver parlato con il responsabile della Scuola mi presentano il mio “istruttore” una ragazzo di 18 anni non ancora compiuti. Carnagione scura, capelli al vento, labbra rovinate dalla salsedine, muta attillata e sguardo annoiato. Il suo inglese è peggio del mio spagnolo, una buona occasione per migliorare la padronanza dell’altra lingua della nostra famiglia, che tra l’altro questa volta sembra venirmi meglio.

Mi danno la muta da mettere, ricordando le mute da sub che ho messo tante volte mi metto questa cercando di stare in equilibrio sui sassi. Non appena Aaron torna da me vedo un sorriso divertito, “l’hai messa al contrario mi dice”, rido anche io, sono qui per divertirmi e poi devo imparare a ridere di più (soprattutto di me). La tolgo, la giro a rovescio e la rimetto. “Ma no, al contrario!” dice ancora Aaron ridendo. Lui intendeva al contrario ed io ho capito a rovescio. È proprio vero che la percezione della comunicazione è soggettiva. Vabbè, ho l’ennesima prova che usare vecchie esperienze per farne delle nuove non serve a nulla.

Andiamo a fare un po’ di stretching. Il mio istruttore sbadiglia, avrà fatto tardi o forse è annoiato. Anche io non ho molta voglia di fare stretching, voglio fare surf. Comunque mi allineo, l’istruttore è lui. Dopo un po’ mi fa vedere la posizione da tenere sulla tavola. Sdraiato a pancia in giù, piedi uniti, testa alta e si “rema” con le braccia. Abbastanza semplice. Se arriva un onda alta bisogna inarcare la schiena per spostare il peso dietro. L’importante è tenere il peso bilanciato, altrimenti si cade in acqua. Fino a qui tutto semplice e chiaro, poi vedremo nella pratica. Quando una volta raggiunta la zona buona ci gireremo, aspetteremo l’onda. Quando arriva si “rema” per poi alzarsi. Si vabbè alzarsi. Mi spiega il movimento. A terra dopo un bel po’ di pratica mi viene anche bene. “Più veloce e con più sicurezza” mi dice. Mi sa che il non verbale non è convincente, difatti sto pensando a quello che faccio invece di farlo e basta. Integro il feed back. Ora sono stato convincente, andiamo in acqua.

La spiaggia è di sassi e va a fondo immediatamente. Le onde sono molto grosse, e ti risucchiano, inoltre spostano i sassi. In poche parole entrare e uscire dall’acqua è un impresa in più qualche sasso sui piedi è garantito (e fa male), dobbiamo entrare di corsa al momento giusto. Cosa non si fa per un po’ di emozioni!

Aspetto il via, corriamo in acqua che è un po’ più fredda di quanto mi sembrasse. Inizio a “remare”.  Aaron è dietro di me, non so dove per ora vado. Lo sento parlare mi dice di andare verso destra. Lo ripete e poi ancora. “Claudio dove è la destra?”, mamma mi sono confuso, sarà la lingua. Le onde sono veramente alte, inizio a stancarmi. Aaron mi sprona, “rema, rema…”. “Unisci i piedi”, “vai a destra”, quanta roba! E io continuo a stancarmi sempre di più. Sento una spinta, faccio così pena che deve spingere? Ecco siamo arrivati, ci giriamo verso riva.

Mi ricorda il movimento per alzarmi, e aspettiamo. “Siediti così riposi un po’”. Ci provo e quasi cado in acqua. E mi accorgo che la schiena mi fa male, “remare” in quella posizione ha stressato i muscoli lombari, o forse sono più vecchio di quanto pensassi. Riposerò da sdraiato. Aspettiamo …

Gli altri surfisti fanno i numeri, sono lontani da noi, mi sa che c’è una zona per i principianti. Li guardo, quella è la mia motivazione, speriamo che sia il mio futuro.

Arriva l’onda, o così penso perché Aaron inizia a gridare “rema, rema!”. E io eseguo, le braccia mi fanno male, arriva l’onda provo ad alzarmi e il verbo è giusto perché provo, nulla di più. Il risultato è che perdo metri preziosi guadagnati con fatica, sono più verso riva e non ho combinato nulla. Devo tornare a “remare”.

Tutto questo succede diverse volte e ogni volta faccio più fatica. Non sono mai stato così stanco, non ho mai avuto così tanto dolore nelle braccia nemmeno durante il mio servizio militare nei Parà dove facevamo flessioni all’infinito, nemmeno quando facevo i super set in palestra.  Aaron continua a motivarmi ma inutilmente. È bravo, ha pazienza e non molla. “Non ce la faccio” gli dico. “Sì che ce la fai” mi risponde, “credimi non ce la faccio” insisto. Mi vengono in mente quelle scene da film dove l’eroe è in mezzo al mare aggrappato a un tronco ma non ce la fa più e lasca la presa. Mi sento così.

Vedo un’ondona arrivare. I surfisti veri si eccitano e si preparano a cavalcarla, io penso che mi porterà un po’ a riva o mi farà cadere. In entrambi i casi sarà più fatica. Mi arrendo. La aspetterò rassegnato, nella peggiore delle ipotesi mi salveranno e porteranno a riva. Le incitazioni che sento sono inutili. Aaron mi gira, fa tutto lui. “Rema, rema!” e io ci provo. L’onda è veramente grossa, nonostante la spinta che do io è nulla la tavola inizia a scivolare, provo ad alzarmi, provo ancora perché questa volta è la schiena a non tenere. Il solo tentativo di fare il movimento mi ricorda di quanto mi fa male. Non ci riesco e ho perso altri metri preziosi.

Incominciamo di nuovo. Sono disperato. Cioè non spero più. Forse era meglio aspettare qualche giorno, smaltire il fuso e magari avere onde e corrente meno forte. Aaron mi dice che se sono stanco possiamo provare l’ultima e poi uscire. Mi sembra una buona idea. “Remiano”.

Il cuore mi batte forte per l’esercizio fisico, le braccia e la schiena mi fanno male e ho mal di testa. Inizio a pensare che oltre che aspettare qualche giorno avrei dovuto anticpiare di una decina di anni. Tutti pensieri non utili …

Arriva l’onda.

Mi preparo, raccolgo le ultime forze mentali e “remo”. Prendo l’onda, mi alzo, la tavola balla, non ho equilibrio ma riesco a mettermi in ginocchio e a modo mio cavalco l’onda. Aaron mi fa i complimenti. Io sono entusiasta. Un piccolissimo passo ma è qualcosa.

Come d’incanto mi tornano un po’ di forze. Decidiamo di restare.

Tutto procede, lentamente ma procede fino a quando ci chiamano, il tempo è scaduto. Ora dobbiamo uscire, un’altra impresa. Aaron uscirà per primo e poi mi verrà a prendere. Non so se è più preoccupato che mi faccia male io o che si rovini la tavola. Non importa, eseguo.

Una volta fuori mi rendo conto di quanto sono esausto. Sono letteralmente a pezzi.

Il capo della scuola mi accoglie con un sorriso, probabilmente vede la mia faccia o sa. Mi chiede come è andata, sono sincero. Mi risponde che è normale, tutti ci passano. Penso che sia un bel ricalco, apprezzo, ma continuo a sentirmi di merda. Un “signore” che sta facendo stretching mi dice che la sua prima volta è stata un inferno e ora non può vivere senza il surf. Ho speranze.

Una cosa che mi piace è l’ambiente. Tutti gentili, tutti sereni. Tutti che cercano di farti sentire a tuo agio.

Arriva Nancy con le bimbe. Capisce subito che è “andata male”, le racconto.  Sorride, “è una bella esperienza per te sono contenta che tu la stia facendo” mi dice. Ha ragione. Come spesso capita ha ragione da vendere.

 

In macchina riprendo il fiato e la giornata scorre mentre il mio corpo mi ricorda nel modo più doloroso possibile tutti i muscoli che ho. La sera usciamo e sono rotto e rosso come un pomodoro. Non ho messo la crema dimenticandomi che “le nuvole” della spiaggia di Waikiki lasciamo passare tutti i raggi che bruciamo la pelle. I nostri amici mi prendono un po’ in giro, ecco il bergamasco di pelle chiara bruciato dal sole perché non ha messo la crema, con il mal di schiena perché ha voluto fare il figo.

Facciamo tardi e vado a dormire sperando in un futuro migliore.

La seconda lezione la faccio dopo un giorno di riposo. Aaron sembra meno annoiato durante lo stretching. Le onde sono ancora più grosse, evviva sarà ancora più faticoso! Mi dice che andremo in gruppo. Io avevo prenotato una lezione da solo, forse si è annoiato troppo con me. Mi vengono strani dubbi. Arriva il capo conferma che la lezione è singola, il gruppo va con un altro istruttore, Aaron sembra contento, forse mi sono sbagliato.

Dopo lo stretching mi fa ripetere il movimento per alzarsi, lo ripeto diverse volte ma non lo convinco. Mi chiede come sto, “malino, mi ha fatto male tutto” rispondo. Mi dice che è normale. Il movimento che si fa è completo, bisogna abituarsi. Poi mi ricorda che è importante allenarsi, riposare bene, mangiare sano, non bere e non fumare. L’ultima cosa l’ho fatta. Mi mancano le altre. Vabbè, andiamo in acqua.

Mi sembra di vedere un film già visto ma ormai sono qui. Devo alzarmi su questa benedetta tavola. Ho anche già fatto il figo su Facebook, ora devo portare a casa il risultato.

Più o meno è la stessa cosa, mi stanco meno però. Che sia vero quello che dicono? Ora quando cerco di alzarmi mi scivolano le mani sulla tavola. Aaron mi ricorda di stringere bene la presa. A parole tutto è logico e facile. Nei fatti un po’ meno.

Provo un paio di volte ma nulla.  Decidiamo di riposare. Siamo al largo e sono sdraiato. Appoggio la fronte alla tavola. L’acqua mi rinfresca la mente e i pensieri. Mi ricordo quello che insegno e quello che faccio fare agli atleti. Basterebbe che facessi quello che dico agli altri di fare …

Chiudo gli occhi. Mi concentro. Mi dissocio e immagino di essere Nancy. Sono a riva, sono tornata per vedermi. Mi vedo “remare” prendere l’onda e alzarmi … sorrido felice … esco dal suo corpo e entro nel mio sto cavalcando l’onda … è una figata! Apro gli occhi, sono lì sdraiato con la fronte bagnata dall’acqua salata. Ora quello che ho visto nella mia mente è da fare nella realtà.

Arriva l’onda. “Rema, rema!” dice Aaron. “Remo” con convinzione, mi alzo. Penso poco e sono veloce nel movimento … Sono in piedi! Non appena mi rendo conto che sono in piedi mi accorgo che sto andando contro un surfista che è in acqua, “cuidado!” grido, vabbè lui cosa può fare? Sono io che devo evitarlo. D’istinto sposto il peso e curvo. Wow! Sento un boato dalla spiaggia. Nancy e le bimbe saltano ed esultano come se avessimo vinto tutti i campionati del mondo di tutti gli sport contemporaneamente. Mi avvicino alla riva e ricordo le raccomandazioni di Aaron, qui il modo migliore di farsi male e schiantarsi sui sassi. Mi butto in acqua. Per la prima volta mi butto io invece di cadere.

Ha funzionato. Tutto ha funzionato. Che emozione!

Torno al largo. E lo rifaccio. Alla fine della seconda lezione mi sono alzato ben 4 volte, di cui tre per tanto tempo. (Tanto per me). Aaron è felicissimo per me, io più di lui. Il capo della scuola e altri ragazzi mi accolgono con un sorriso enorme e si complimentano con me. Che bell’ambiente. Ormai sono contagiato da questa cosa. Non vedo l’ora di tornare.

Purtroppo la terza lezione deve subire un ritardo. Il mio intestino non va d’accordo con del pesce crudo che abbiamo mangiato. Meglio rimandare, ho un altro sport da fare oggi. Meno piacevole ma ne è valsa la pena. La cucina peruviana è straordinaria!

Al mio terzo appuntamento Aaron non dovrebbe esserci, ha lezione all’università, studia architettura d’interno. Con mio grande piacere invece lo vedo. Mi sa che ha deciso di saltare la lezione. Forse gli ho dato soddisfazione. Arrivando alla spiaggia mi sembra di tornare tra vecchi amici. Mi piace.

Iniziamo lo stretching e questa volta lo faccio con voglia. Mi rendo conto che è utile. Corriamo anche un po’ per scaldare le gambe. L’oceano è un po’ più Pacifico oggi, o meglio e meno incazzato. Meglio faremo meno fatica. Aaron mi chiede come sto e se ho bevuto tanta acqua, essere disidratati porta ad essere stanchi. Lo rassicuro notando che è più attento di quanto pensassi. Proviamo i movimenti e andiamo in acqua.

Tutto mi sembra più facile. Già al primo tentativo mi alzo e arrivo a riva in piedi sulla tavola. A parte una volta che perdo l’equilibrio mi alzo sempre. È tutta un’altra storia. Quando siamo al largo ad aspettare che l’oceano decida di farci surfare mandandoci un’onda utile, parliamo … Parliamo di famiglia, di Dio, delle religioni, dell’Italia e del futuro … Aaron si rivela un bravissimo ragazzo, intelligente, di sani principi e con voglia di crescere. Oggi è il compleanno di sua mamma che ha meno anni di me.

Mi piace essere al largo su una tavola da surf con un ragazzo che potrebbe essere mio figlio a parlare di tutto. È stato ed è il mio maestro di surf, mi ha dato fiducia quando mi mancava, mi ha spinto quando non riuscivo a “remare”, ha saltato la lezione per essere con me oggi e mi invita a messa alla sua chiesa domenica … siamo “patas”.

Le nostre chiacchierate vengono intramezzate dalle mie “cavalcate”. Mi viene in mente una pubblicità che ho visto l’altro giorno. Un poster gigante con un’onda immensa e Kelly Slater (il campione mondiale assoluto) con la sua tavola e sotto la scritta “solo i Surfisti conoscono l’emozione”.

Non sono un surfista. Sono un visitatore più che quarantenne alla sua terza lezione. Ma ho un’emozione che non pensavo di provare. Ho sempre desiderato stare in piedi su una tavola da surf sull’acqua senza vela ed eccomi qui. Mi piace. I dolori e la fatica sono più che ripagati.

È ora di tornare a riva. Purtroppo devo rientrare in Italia, è la mia ultima lezione per questo giro. Tutti mi salutano come se fossi uno del clan. Mi danno la maglietta ricordo e gli adesivi. Ci scambiamo e-mail e profili Facebook. Qui ci torno.

Siamo tutti felici. Nancy mi ha trovato una motivazione in più per venire a Lima, il capo della scuola ha un fan in più, Aaron un amico e un invito in Italia e io un’esperienza straordinaria. Continuo a pensarci e continuo a pensare a quante cose ho imparato:

  • Mettere la muta al contrario mi ha ricordato che per imparare qualcosa di nuovo è meglio sospendere ciò che sai.
  • Essere stanco fino a mollare mi ha insegnato a perdere il controllo e a ricordarmi che quando non ce la fai più hai sempre un po’ di forza se serve.
  • Scottarmi ad ascoltare i locali che mi avevano consigliato di mettere la crema. Bisogna sempre ascoltare chi sa più di te perché lo ha già fatto.
  • Fare stretching bene mi ha consolidato la convinzione che preparasi è determinante. I preliminari sono più importanti del resto perché il resto dipende proprio dai preliminari.
  • Le onde che all’inizio erano per me una brutta cosa (perché mi riportavano a riva) e per chi sa cosa fare erano una bella cosa, che come nella vita tutto dipende da chi sei, cosa fai e come lo fai.
  • Che è meglio stare ben bilanciati. Da sdraiato se stai troppo avanti o troppo indietro fai più fatica a “remare”, da in piedi se non sei in equilibri cadi. Come nella vita.

Aaron tante cose:

  • mai giudicare le apparenze,
  • tutti possono essere “maestri”,
  • ci sono tanti bravi ragazzi, il futuro è garantito, ci sono loro,
  • a credere più in me,
  • ad ascoltare,
  • a essere più convincente,
  • a riconoscere la destra dalla sinistra (o meglio a fermarmi e pensare prima di decidere da che parte andare),
  • che bisogna mangiar bene, riposare, fare esercizio, bere poco e non fumare,
  • a stare in piedi (che si fa stringendo con forza la tavola, alzando bene il busto, muovendo le gambe velocemente e una volta in piedi tenendo il baricentro basso e guardando sempre avanti. Che metafora!),
  • che è meglio buttarsi in acqua piuttosto che schiantarsi sui sassi,
  • a fare quello che so e insegno agli altri,
  • che serve pazienza, tempo e un po’ di fatica ma poi funziona,
  • che è l’oceano a decidere quando mandarti l’onda, tu nel frattempo preparati, stai pronto e goditi l’attesa. Potrebbe essere bella quanto l’onda stessa,
  • che serve sempre un buon mentore/maestro. Bravo tecnicamente ma anche umanamente,
  • che i tuoi compagni di viaggio rendono il viaggio più o meno bello,
  • che ci sono ragazzi in gamba là fuori e dobbiamo dare loro spazio per brillare.

Che il surf è come la vita. L’acqua è spesso più fredda di quanto sembra, fai fatica a entrarci a fai fatica a “remare”, ad andare al largo a ricordarti la destra e la sinistra e tutti i movimenti che a terra sembrano semplici e logici. Tutto per allontanarti dalla riva, prendere l’onda e tornare indietro, esattamente dove eri, ma in piedi, con il sorriso, bilanciando il tuo peso sulla tavola, il sole in faccia e il vento tra i capelli … Un piccolo viaggio dell’eroe.

Grazie Nancy. Grazie Pukana Surfing School, grazie Aaron, grazie Oceano Pacifico.

Claudio

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