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Dallo stress al burnout, quanto è breve il passo?

Il passo tra una quota sostenibile di stress e il burnout può essere molto breve. Ciò accade perché, se da un lato il problema del burnout è noto, dall’altro lato c’è ancora poca consapevolezza delle cause e ancor meno delle soluzioni. Questo emerge in maniera particolarmente evidente in un libro uscito alla fine dello scorso anno The Burnout Epidemic: The Rise of Chronic Stress and How We Can Fix It (Harvard Business Review Press) scritto dalla giornalista Jennifer Moss che con la meticolosità dell’inchiesta giornalistica ricostruisce il tema e lancia una sfida importante a tutti i datori di lavoro.

Nel suo libro, infatti, Moss afferma che possiamo affrontare meglio il burnout se i leader all’interno dell’azienda ne riconoscono i segni, ne comprendono le cause e adottano misure per combatterlo alla radice. L’elemento che emerge in maniera più evidente e che sposta veramente il focus è che il burnout riguarda l’organizzazione, non le persone. Sembra una costatazione anche banale ma se guardiamo all’interno di moltissime aziende non lo è affatto: i lavoratori in sofferenza, le persone emotivamente provate, vengono spesso lasciate sole.

Questa consapevolezza prende le mosse da uno studio sul burnout, sugli effetti negativi sulla salute e sui risultati del lavoro dei dipendenti. In questo studio si affronta la realtà che ancora si sappia poco sui modi efficaci per ridurre i disturbi del burnout, facilitare il pieno ritorno al lavoro e la completa riabilitazione. Moss, nel suo libro, evidenzia come ci siano sei ragioni principali per le quali e persone si espongano a un sovraccarico di stress e finiscano con l’esaurirsi:

  1. Carico di lavoro. Il superlavoro è una delle principali cause di burnout. Il problema è che in molte culture aziendali lavorare di meno è interpretato come mancanza di iniziativa o pigrizia e può essere punito, direttamente o indirettamente. La soluzione, secondo Moss, è che i datori di lavoro aiutino a identificare obiettivi a bassa priorità per i propri collaboratori (in modo che le persone non si impegnino troppo per raggiungere obiettivi non urgenti), abbinare i punti di forza delle persone alle loro mansioni lavorative, fornire maggiore supporto quando necessario cambiare improvvisamente e avere linee di comunicazione aperte e sicure, dove il feedback è incoraggiato e le persone possono ammettere gli errori.
  2. Mancanza di autonomia. Gli studi dimostrano che l’autonomia sul lavoro è importante per il benessere delle persone e la micro-gestione è particolarmente demotivante per i collaboratori. Eppure, molti datori di lavoro tendono all’eccesso nel controllo e a verificare ogni mossa dei propri dipendenti, controllare il loro programma di lavoro o punirli per i passi falsi. Invece, dice Moss, è importante aiutare i collaboratori a lavorare con maggiore autonomia facendo un passo indietro e agendo di più come Coach.
  3. Mancanza di ricompense o riconoscimenti. Pagare qualcuno per quello che vale è un modo importante per premiarlo per il suo lavoro. Ma lo è anche comunicare alle persone che i loro sforzi contano. È importante esprimere apprezzamento per un lavoro ben fatto: la strada migliore è quella della gratitudine, oltre che il riconoscimento attraverso premi che, comunque, devono tenere in considerazione gli sforzi di tutti ed evitare di creare invidie e gelosie.
  4. Scarse relazioni. Avere un senso di appartenenza è necessario per la salute mentale e il benessere. Questo è vero nel lavoro tanto quanto nella vita. Quando le persone si sentono parte di una comunità, hanno maggiori probabilità di prosperare. Moss suggerisce che i datori di lavoro prestino attenzione ai bisogni sociali e diano alle persone spazi in cui possono connettersi con i colleghi su argomenti non legati al lavoro.
  5. Mancanza di equità. Il trattamento iniquo include “pregiudizio, favoritismi, maltrattamenti da parte di un collega o supervisore e compensi iniqui e/o politiche aziendali”, scrive Moss. Quando le persone vengono trattate ingiustamente, è probabile che si esauriscano e stiano male in maniera più frequente. Questo è certamente uno dei terreni più scivolosi per chi gestisce una azienda. La soluzione migliore è senza dubbio l’ascolto e la volontà di mettere in pratica politiche veramente inclusive.
  6. Conflitto di valori. “Assumere qualcuno i cui valori e obiettivi non sono in linea con i valori e gli obiettivi della cultura dell’organizzazione può comportare una minore soddisfazione sul lavoro e un impatto negativo sulla salute mentale”, scrive Moss. È probabile che qualcuno che non partecipa alla mission dell’organizzazione sarà anche infelice e improduttivo.

Cosa ne pensi? Cosa può fare la tua organizzazione per migliorare nella prevenzione del burnout?

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